La composizione negoziata della crisi e il progetto di Piano

La composizione negoziata della crisi (CNC), introdotta dal Codice della Crisi, si afferma come strumento centrale per affrontare una crisi d’impresa, con recenti pronunce giurisprudenziali che sottolineano l’importanza di piani di risanamento ben strutturati per superare il vaglio dei Tribunali.

La CNC e il confronto con il concordato preventivo: uno strumento in crescita

La composizione negoziata della crisi (“CNC”), introdotta dal nuovo Codice della Crisi, sta assumendo un ruolo sempre più rilevante, al punto da competere con il concordato preventivo tra i principali strumenti per affrontare la crisi d’impresa. A giugno 2024, presso i Tribunali italiani, si contavano 476 istanze di accesso alla CNC (rectius “istanze per la conferma delle misure protettive”) contro 490 richieste di concordato preventivo, con i due istituti che insieme rappresentano oltre il 70% delle procedure complessive avviate.

Uno degli elementi che rendono la CNC particolarmente attrattiva per gli imprenditori è la possibilità di richiedere, contestualmente al deposito dell’istanza per la nomina dell’esperto, l’applicazione di misure protettive del patrimonio nei confronti di tutti o di specifici creditori. Sebbene tali misure vengano inizialmente concesse al momento del deposito dell’istanza, la loro conferma è subordinata al successivo vaglio del Tribunale.

Pronunce giurisprudenziali 

Le recenti pronunce giurisprudenziali hanno messo in luce approcci differenti da parte dei Tribunali. Ne è emersa comunque la centralità del “progetto di piano di risanamento” previsto dall’articolo 19, comma 2, lettera d) del Codice della Crisi, che deve essere allegato dall’imprenditore all’istanza depositata presso il Tribunale per la conferma delle misure protettive.

Ad esempio, il Tribunale di Mantova, con ordinanza dell’11 ottobre 2024, ha rigettato un’istanza di conferma delle misure protettive, ritenendo il piano di risanamento carente sotto diversi profili. In particolare, i giudici hanno rilevato l’assenza di una ragionevole probabilità di perseguire il risanamento e di un concreto pericolo che un ritardo nell’adozione delle misure cautelari potesse compromettere tale finalità. Sul piano della fattibilità (fumus boni iuris), il Tribunale ha giudicato il progetto inadeguato a causa dell’eccessiva durata prospettata e della mancanza di garanzie analitiche sulla sua concreta realizzabilità. Tale decisione ha portato alla revoca delle misure protettive già disposte, richiamando l’importanza di rispettare i principi di attestazione dei piani di risanamento (art. 56 e ss Codice della Crisi).

Di segno opposto la pronuncia del Tribunale di Forlì, che, con ordinanza del 31 ottobre 2024, ha accolto un’istanza di conferma delle misure protettive riformando la decisione del giudice monocratico. In questo caso, i giudici hanno considerato sufficiente, ai fini del fumus, un progetto di piano basato su linee guida generali, purché idonee a consentire una valutazione di astratta capacità di perseguire il risanamento. Secondo tale pronuncia, non è necessario infatti che il piano presenti sin dall’inizio il livello di dettaglio richiesto dagli articoli 87 o 56 del Codice della Crisi.

Requisiti di successo per la CNC

Queste decisioni evidenziano come, da un lato, la CNC rappresenti un’opportunità concreta per superare una temporanea situazione di squilibrio patrimoniale, beneficiando anche di strumenti di protezione; dall’altro, come sia fondamentale una pianificazione rigorosa e ben articolata del percorso di risanamento. Solo un approccio adeguatamente strutturato sembra infatti idoneo a permettere il superamento del vaglio del Tribunale, garanzia prevista dal legislatore per evitare un utilizzo improprio delle misure protettive che accompagnano lo strumento della CNC.

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